
- [ ] Le Ande, la catena montuosa più lunga del mondo.
- [ ] Il delta del Nilo, culla di civiltà millenarie.
- [x] I vasti altipiani dell’Anatolia centrale, culla dei primi esempi di civiltà della storia.
La folle famiglia si è spostata per le vacanze e l’ha fatto in grande stile: siamo arrivati fino in Cappadocia con il camper. Un volo su Sofia, un noleggio bulgaro e si è partiti per un bel viaggio prima in Grecia e poi in Turchia, prima con alcuni amici e poi con altri.
Pensare che siamo in luoghi in cui 10.000 anni fa c’era la civiltà è incredibile, sembra di passare da un libro di storia a uno di storia dell’arte. Abbiamo visto Istanbul, le mongolfiere della Cappadocia, i gatti, le moschee e i minareti, i gatti dappertutto, le vasche di Pamukkale, gatti ovunque, Efeso… e poi vedremo ancora dove ci porteranno esattamente i prossimi giorni.
Tra una Quisquilia che si lamenta perché “ma io non parlo turchese, perché non lo capiscono?”, una rovina storica, una coppia Paperella / Leprepazza che cerca borse nel gran bazar di Istanbul, una Piperita che cerca di capire cosa sta diventando dopo la fine delle elementari e un bagno tutti insieme al mare, abbiamo guidato, e guidato un sacco.
Quando guidi hai spesso dei momenti in cui ti ritrovi a pensare a tante cose, oppure in cui fai chiacchiere serie con le figlie grandi mentre la radio passa Show me how to live, come a dire “oi, il ruolo di padre qui ora è il tuo, datti da fare”. E questo mi ha messo in moto il pensiero.
Mettendo insieme gli appunti presi per il blog in questi giorni mi sono ricordato una cosa banale: i momenti passati insieme sono irripetibili, e non devono essere messi in secondo piano da questa o quella preoccupazione, magari del lavoro, dalla distrazione dei social, da tutti i “ma” i “se” e i “però” con i quali ci arrovelliamo fin troppo spesso. Devono essere vissuti. Magari lo diciamo anche spesso, ma perché ce lo diciamo? Perché vale la pena mettersi in gioco?
Esattamente un anno fa scrivevo degli alti e bassi dell’ibuprofene nel mare quotidiano, e oggi mi ritrovo a scrivere un post analogo. Quest’anno non abbiamo avuto mal d’orecchi o altre sfortune mediche durante il viaggio, ma sulle nostre spalle c’è più dolore di un anno fa. Da allora a oggi sono diversi gli amici che sono stati male e che hanno sofferto sia nel corpo sia nello spirito, gli amici che ci hanno preceduto nella casa del Padre, e le preoccupazioni per i nostri cari sono di più.
Posso anche mettermi in gioco con le figlie ma se non mi faccio questa domanda quel che gli dico non ha verifica: se tutto il mio fare, tutto il mio viaggiare e tutto il mio lavoro non cambiano le cose, non salvano le persone, non risolvono i problemi miei e del mondo, perché mi devo sbattere? Il viaggio della vita, chi ce lo fa fare? Perché vale la pena non schiantarsi sul divano o non rovinarsi di apatia? Perché tanto sbatto? A che tante facelle?
Per rendere il mondo un posto migliore. Una chiacchiera alla volta, una visita alla volta, un viaggio alla volta, una cena con amici alla volta. Un posto migliore è un posto in cui vale la pena vivere, un posto da consigliare, un posto da salvare nell’elenco delle cose da vedere e da vivere. Un mondo da salvare e da vivere.
Sì, direi che l’unico motivo per cui fare le cose è questo, che lo scopo valido mettersi in gioco, per starci tutto nelle chiacchiere con i figli e gli amici dovrebbe essere questo: un mondo salvato vivendo.









