“Cos’è che è successo a Parigi?” è quello che ho detto ieri l’altro sera quando sono tornato a casa. Era il primo giorno di rientro dalle ferie e le questioni arretrate mi avevano preso così completamente da aver ignorato tutti i social e i giornali. La moglie mi ha raccontato tutto e ho cominciato a leggere articoli, pareri, condanne, dichiarazioni, supposizioni e #jesuischarlie un po’ dovunque.
C’è chi dice che non ci vuole molto a seguire la folla e a dire “io sono Charlie” mentre lo dice tutto il mondo, poi c’è anche chi dice che ci vuole tanto coraggio a dire proprio quella cosa in cui credi ma che sai ti verrà contestata subito. Io dico bravi a tutti, perché i pericoli più grandi di questo nostro mondo moderno sono il silenzio, l’omertà e l’indifferenza. Preferisco un amico con il quale litigare perché non siamo d’accordo a uno che non mi dice che non è d’accordo con ciò che dico.
A tutto quello che ho letto voglio aggiungere qualcosa che non ho ancora trovato espresso in questi termini, anche se sicuramente qualcun altro avrà trascritto meglio un pensiero come il mio non vogliatemene se non l’ho trovato e quindi ora lo ripeto.
Io sono Beppe, non sono Charlie. È per questo che difendo Charlie.
Non leggo la rivista francese ma la conoscevo già, in famiglia abbiamo lettori di Linus della prima ora e il legame storico tra le due riviste è molto forte. Non ho mai sopportato le sue vignette satiriche su Dio (da qualunque angolazione religiosa fosse visto), per il mio gusto sfociava troppo spesso dalla satira all’insulto. Poco male, mi sono appunto limitato a non leggere.
Il fatto è che “io sono Beppe” è l’espressione della mia identità ed è proprio questa identità che mi porto nelle ossa a farmi difendere tutto lo staff di Charlie Hebdo. A qualunque costo perché la vita è sacra è va difesa sempre, la mia, la tua, quella delle nostre famiglie e perfino quella dei terroristi.
So bene che “io sono Charlie” significa “io sto con Charlie”, ma penso che per stare davvero dalla sua parte occorra affermare con forza la nostra identità. Perché è solo con la maturazione della nostra identità culturale, religiosa e politica che diventa possibile scrivere una storia matura di accoglienza e integrazione.
Non possiamo accogliere appieno il prossimo finché non sappiamo appieno chi siamo. Dobbiamo essere liberi si affermare con decisione chi siamo e dobbiamo riuscire a dire “sono diverso da te, non sono d’accordo né con te né con il tuo pensiero e non mi sei nemmeno simpatico, ma devi avere i miei stessi diritti”.
Solo partendo da qui si fa la vera integrazione, la convivenza.